THE DEAD WAR PARTE 2

Capitolo II

A Casa.

“Quanto tempo era passato da quando era arrivato qui?
Quante persone aveva conosciuto? Quante erano morte?”

Nikolaj si svegliò di soprassalto da uno dei tanti incubi che, lo accompagnavano fedelmente da ogni rientro- missione. Si alzò e si sedette sul bordo del letto, massaggiandosi il collo. Le varie cadute del giorno prima gli avevano causato qualche lesione e diversi ematomi sparsi per il corpo. Le orecchie erano ancora tappate e gli facevano male, le avrebbe fatte vedere al dottore in quella mattinata, ma prima avrebbe messo qualcosa sotto i denti e fatto la conta dei caduti e dispersi con gli altri sopravvissuti. Era la parte peggiore. Ripetere i nomi dei compagni persi, dichiarare se li avevano visti morire o no, se si: qualcuno diceva due parole veloci in ricordo; se nessuno aveva visto niente il nome del soldato veniva passato al comando che valutava un possibile recupero. Non capitava mai. Il rischio era sempre elevato.
Nikolaj si infilò una maglietta bianca con un piccolo teschio stampato all’altezza del cuore, dei pantaloni neri con tasche tattiche e delle “converse” ,conosciute soprattutto con il nome “ciabatte del soldato”, indossare quelle scarpe significava che per un periodo saresti rimasto nel campo a bere, fumare o in compagnia di qualche prostituta.
Non era sicuro che per lui non ci fossero più missioni da fare, la parola sicuro era instabile anche all’interno del campo. Le mise semplicemente per far capire che intenzioni avesse al suo comandante e al suo centro di comando; dove, nel primo pomeriggio, avrebbe dovuto consegnare il suo rapporto.
Nikolaj recupero sul tavolo, vicino al letto, i suoi occhiali da sole e la Glock, se la infilo nella fondina , e uscì dalla tenda. Il sole quella mattina era particolarmente caldo e i suoi raggi filtravano attraverso gli alberi della foresta. Alzò lo sguardo verso il cielo e respirò profondamente: nel aria c’era l’odore del bosco, dei fiori, della primavera. I pochi raggi che raggiungevano Nikolaj, gli scaldavo il volto lasciandogli una sensazione di piacere. Se non fosse stato per i schiamazzi degli altri soldati e la musica, avrebbe potuto udire gli uccelli cantare e il fruscio del vento tra gli alberi. La sua tenda era la più lontana dal centro del campo, una scelta saggia fatta all’inizio campagna. In quel punto si poteva sentire ancora qualche odore di natura, ma più ti avvicinavi al centro del campo e più si percepiva il fetore del gasolio, delle latrine e del mangiare.
Quel piccolo spazio era il suo lembo di paradiso, ne aveva bisogno, senza, non sarebbe più stato capace di riconosce la bellezza e di poterla apprezzare.
Diede un ultimo sguardo al cielo e si incamminò verso la mensa.
Il campo era molto movimentato, c’erano soldati che chiacchieravano, altri che bevevano e quella mattina, come ogni tanto capitava, non più lontano di dieci tende da quella di Nikolaj, stavano improvvisando una partita di calcio: le porte fatte con sacchi e zaini, fecero tornare alla mente i ricordi di quando era bambino.
Avrebbe voluto giocare, divertirsi come un tempo, pensare, per un attimo, di essere ancora bambino, ma le botte e le lesioni della guerra lo tenevano saldo con i piedi per terra. Impotente e intristito decise di andare oltre e non pensarci più. Aveva già troppe cose da tenere a bada nel cervello.
La strada che attraversava il campo, si diramava in tante altre piccole strade secondarie, che portavano alle tende.
Assomigliava ad un grosso campeggio estivo, a parte che le tende erano tutte verde scuro e non colorate, tutto il campo era circondato da mura di cemento, alte tre metri più mezzo metro di filo spinato e postazioni di vedetta ogni venti metri. Sembrava un campo di prigionia più che un campeggio. Angosciante. Nikolaj ogni tanto si chiedeva se il filo spinato servisse a non far entrare i nemici o a non far scappare i soldati.
Più si avvicinava al centro del campo, più il traffico di jeep militari aumentavano di intensità. Sfrecciavano su e giù dal campo, trasportando munizioni, armi, medicinali, cibo, gasolio. Nikolaj se ne stava sul ciglio della strada camminando a testa bassa fumando una Marlboro. Il ragazzo che aveva visto morire in preda alla pazzia, lo tormentava ininterrottamente: la sua faccia e le sue parole. In tutti i suoi anni di guerra, forse questa, era la cosa più angosciante di tutte. Non era solito pensare a uomini di un'altra squadra, li vedeva più come figuranti in un teatro di morte. Ma questo soldato era diverso, il suo sguardo compariva davanti ai suoi occhi, occhi persi nei più oscuri abissi della mente.
Morte. Fuoco. Scappa. Nasconditi.”
Una Jeep gli passò affianco a gran velocità, riportandolo bruscamente alla realtà. Si girò, guardando in cagnesco la jeep che si allontanava sollevando la terra battuta della strada.
“Coglione!”
Era arrivato nella zona ospedaliera del campo, dove si estendevano ben dieci tende marchiate con croci rosse sui lati. La via vi passava attraverso, dividendo a metà l’unità ospedaliera. Ovunque guardasse, c’erano macchie di sangue, sacchi neri per cadaveri, alcuni pieni, altri pronti per essere riempiti; le urla di agonia aumentavano di intensità.
Jeep porta feriti ricoperte di sangue aspettavano pazientemente fuori da ogni tenda.
Dei malati e feriti non c’era traccia, l’unico via vai era di dottori in camice bianco o verde che si muovevano di gran fretta da una tenda all’altra.
Prima a poi ci passano tutti.”
Era quasi arrivato alla fine dell’ospedale, quando vide un infermiere chino su un morto inserito all’interno di un sacco nero, con la cerniera aperta fino al busto, sistemato fuori da una tenda, la mano era appoggiata sulla testa e dalle sue labbra uscivano bisbigli veloci in una lingua che non aveva mai sentito prima. Rallentò, inconsciamente, continuando a fissare la scena.
L’infermiere stava accarezzando la testa del morto, continuando a bisbigliare quello che a Nikolaj pareva una preghiera. Si era fermato a fissare quel rituale, quando l’infermiere alzò la testa e lo fissò dritto negli occhi. Nikolaj rimase ipnotizzato e allo stesso tempo spaventato da quegli occhi di ghiaccio, avevano un colore grigio tendente al bianco messi in risalto soprattutto dalla sua carnagione mulatta. L’infermiere lo fissò ancora per qualche istante, poi si ritirò dentro la tenda.
Si ricordò di aver visto quegli occhi il giorno prima, durante la battaglia, erano gli occhi del soldato che aveva eseguito l’S.T.H a quel ragazzo. Rabbrividì pensando alla scena macabra di quel giorno: Il corpo del soldato con un piccolo foro in mezzo agli occhi e la bocca aperta, lasciato in mezzo alla strada come un animale.
Lasciami in pace.”
 Aveva appena superato il campo dell’ospedale quando, da una tenda, usci un ragazzo di circa vent’anni, capelli biondi tagliati corti, indossava una maglietta bianca con un piccolo teschio, dei pantaloni neri, e una Glock nella fondina attaccata alla cintura.
“ Buongiorno tenente!”  Disse sorridendo, e avvicinandosi  a Nikolaj, gli fece il saluto militare.
“ Buongiorno Curtis! Già fatto colazione?”
“ Ci sto andando adesso signore! La posso accompagnare signore?”
“ Certamente! Ah, fammi un favore, smettila di chiamarmi signore ok?”
“ Va bene sign…, Ehm, Ok!” Curtis per un attimo diventò rosso dall’imbarazzo ma Nikolaj non gli prestò attenzione.
“ Curtis tutto bene?”
“ Ehm, si. Cioè no. C’è una cosa che mi turba, ho sentito delle voci dagli altri soldati, parlavano dell’ avamposto 45, dicevano che non c’è più nessun contatto radio da più di ventiquattro ore. Dicono che sono stati attaccati, che sono spariti.”
“ L’avamposto 45 è a più di trenta chilometri da qui ed è dietro la montagna. Avranno avuto delle interferenze  o un guasto alla radio, non devi credere a tutto quello che senti, finirai col impazzire. Ma poi, scusa, che interesse hai di quel posto? ”
“ Ho un amico, il sergente John Tunh, lo conosce per caso?”
“Era nella nostra squadra?”
“ No.”
“Allora non lo conosco. È americano come te?”
“ Si, John ed io abbiamo fatto l’accademia militare insieme. Una volta promossi siamo stati insieme in Iraq per tre anni. Poi abbiamo deciso di fare un po’ di soldi e ci siamo arruolati qui. Lui era un tipo chiacchierone e aveva il vizio di protestare molto, soprattutto con il comando. E questo a loro non andava affatto bene, Perciò, un giorno, l’ho visto ricevere una lettera di trasferimento a quell’ avamposto. Il più lontano possibile. ”
“ Già, quell’avamposto è famoso, li è pieno di soldati scomodi per il comando. Tuttavia, sono sicuro che il tuo amico stia bene, ho sentito storie che raccontavano del relax che vige in quell’avamposto, tutti i giorni lontani dalla guerra. Sicuramente sarà sdraiato da qualche parte a bere e fumare.”
“ Lo spero.” Curtis fece una smorfia come se stesse iniziando a piangere ed abbassò la testa, nascondendola dalla vista del tenente.
Nikolaj provò compassione  di fronte a quella scena. Curtis era un soldato eccellente e sembrava l’unico in grado di non farsi influenzare dalla guerra. Credeva ancora nel bene e non aveva incubi. Era il tipo che se ne stava per le sue, che quando doveva confrontarsi con i suoi superiori abbassava la testa; ma se gli davi in mano un mitragliatore svolgeva il suo lavoro in maniera pulita e perfetta. Era una macchina da guerra coi contro fiocchi, anche se era un po’ timida.
Il tenente gli posò la mano sulla sua spalla e lo guardò, Curtis timidamente alzò la testa e ricambio il suo sguardo con un lieve sorriso.
“ Ieri hai combattuto bene!” Disse Nikolaj cercando di tirarlo su di morale.
“ Grazie tenente, ma ho fatto solo il mio lavoro, mi pagano per combattere.”
Nikolaj rimase stupido dal modo in cui Curtis gli rispose, poi i suoi occhi guardarono lontano:“ Spero che stia bene.” Concluse.
Entrarono nel grosso tendone che era la mensa del campo, all’interno circa trecento soldati era seduti ai tavoli e chiacchieravano allegramente creando una forte confusione.
Presero dei vassoi e si misero in fila. Davanti a loro c’era un uomo enorme, alta circa due metri e larga un metro, la testa rasata, una maglietta bianca e dei pantaloni neri, Invece della Glock, aveva un machete lungo quaranta centimetri. Infilato nella  fondina attaccata alla gamba sinistra.
“ Ehi Cookie! Che si dice in giro?” Disse Nikolaj alzando la voce per superare il rumore.
Il bestione si girò verso di lui lentamente:
“ Tutto ok tenente! Ho sentito che ieri vi hanno fatto il culo!”
“ La solita routine. Come sempre il comando ci aveva fornito dati sbagliati sulle posizioni nemiche.”
“La solita merda.” Cookie fece una smorfia di disgusto: “ Non sanno mai un cazzo!”
“ Se non fosse stato per il Black, quella strada sarebbe stata la nostra bara.”
“ Il Black è il nostro angelo, lo dico sempre io!” Cookie guardò Curtis e poi guardò Nikolaj: “ Comunque, se non siete stati ancora informati, e dalle vostre facce si capisce di no, il comando vuole la nostra vecchia squadra a rapporto, subito dopo colazione.”
“ Dici sul serio?” Chiese Curtis incuriosito.
“ Che cazzo gli prende a quelli del comando? Come mai ci vogliono insieme?”
“ Per una missione credo, tutto quello che so e che stanno cercando soldati con le palle per fare questo lavoretto! E guarda caso non hanno trovato nessuno di discreto; così hanno chiamato noi ancora una volta, per fare il lavoro sporco che nessuno vuole fare! ” Cookie guardò le scarpe di Nikolaj:
“ Mi sa che quelle scarpe dovranno aspettare ancora un po’tenente!”
Credo di si Cookie. Ma, Questa cosa, puzza di fregatura, quindi occhi aperti ok?”
Nikolaj era deluso dal fatto che non si sarebbe riposato qualche giorno in più, e il fatto che il comando abbia voluto rimettere insieme la squadra era per lui una cosa sospetta. La loro vecchia squadra era composta da professionisti, veterani di guerre in ogni parte del globo: Mozambico, Cecenia, Jugoslavia, Iraq, Palestina e Nord Corea.
Era difficile dirgli quello che dovevano fare, e molte volte prendevano decisioni proprie, questa cosa faceva alterare i nervi ai comandanti, ma le loro missioni furono sempre completante a regola d’arte e quindi al centro comando chiudevano un occhio sulla loro mancanza di disciplina.
Il comando decise di dividerli e rinchiuderli in gatta buia per tre mesi per un fatto accaduto un anno indietro a Nash (una città di venti mila abitanti): Un comandante di un battaglione aveva fatto uscire tutti i civili rimasti dalle loro case e li aveva condannati alla fucilazione per tradimento; era una cosa surreale, i pochi civili rimasti erano tutta gente povera che non aveva avuto la  fortuna di partire, e, questo, il comandante lo sapeva bene. La squadra cercò di farlo ragionare su quello che stava per fare, ma  non volle sentire ragione, era così consumato dalla rabbia e dell’orrore che si era trasformato in un sanguinario. Quando Nikolaj e la sua squadra si misero in mezzo tra il plotone d’esecuzione  e i civili con le armi puntate,  il comandante non esitò un istante a urlagli parole che riguardavano il tradimento e la loro fucilazione dopo i civili, passo falso.
Il primo colpo partì dal fucile di Nikolaj che centrò in pieno la testa del comandante,  e, a seguire, gli altri spararono al plotone. In una frazione di secondo, ogni soldato con l’arma puntata verso di loro si ritrovò sdraiato a terra con una pallottola in fronte.
Fine della storia.
L’unico motivo per cui erano ancora vivi, era perché erano efficientissimi nel loro lavoro, cosi, li divisero in altre squadre, dopo tre lungi mesi di prigione.
I comandanti firmarono un giuramento imposto da loro stessi che niente e nessuno avrebbe rimesso insieme la squadra, catalogata come instabile e estremamente pericolosa per la campagna in corso.
Se il comando aveva preso una decisione così rischiosa, infrangendo le loro leggi e il loro giuramento, voleva dire due cose: Missione suicida o erano nella merda fino al collo e a Nikolaj questo non piaceva per niente. 
“ Ok Cookie,” Disse Nikolaj sbuffando. “Ci troviamo fuori  dal comando tra venti minuti, dillo anche agli altri. Ora godiamoci la colazione.”

Venti minuti dopo.

Fuori dalla tenda, ad aspettarli, c’erano tre uomini vestiti nella stessa maniera di Nikolaj, dalla loro carnagione e dai loro tratti somatici si capiva a grandi linee le loro origini, c’era un asiatico, basso e magro, capelli neri tagliati corti; Un africano, alto e muscoloso, pelato; un arabo, altezza e corporatura nella norma, capelli lunghi raccolti in una coda.
 “Tenente che sta succedendo? Cos’è questa storia?” Chiese quello con la carnagione più scura.
“Non lo so nemmeno io Pece, sono venuto a saperlo da Cookie mezz’ora fa.”
“ Grandioso! E io che credevo che avesse tutte le risposte!” Intervenne  l’arabo sorridendogli.
“ Mi dispiace deluderti Amin, ma questa volta sono stato messo all’oscuro di tutto. Comunque, vedo che non ve la passate tanto male!”
“ Su certi aspetti non posso darle ragione tenente, le missioni che mi hanno assegnato in quest’ultimo periodo, erano tutte da suicidio. Sembrava proprio che mi volessero togliermi dalla scena a tutti costi.” Disse l’asiatico
“ Già, ho avuto la stessa sensazione anch’io!” Disse Nikolaj.
“ Ombra ha ragione, in questi ultimi mesi alla mia squadra hanno dato sempre informazioni sbagliate. E tutte le volte ho rischiato di beccarmi una pallottola!” Amin sembrava preoccupato e le sue parole lo confermavano, del resto, lo erano tutti.
“ Dici che il comando c’è l’ha ancora con noi?” Chiese Curtis.
“ Secondo te? Dopo il casino che hanno fatto per dividerci, gli è già passato tutto?” Ma che cazzo ti dice il cervello?” Cookie mollò un pugno sulla spalla di Curtis.
“ Cookie, Perché quel testosterone che ti si forma in mezzo alle gambe non lo fai arrivare anche al cervello? Lascialo continuare!” Intervenne Pece  mentre Curtis si massaggiava la spalla; poi riprese il suo discorso: “Dicevo: se il comando c’è l’ha ancora con noi, perché farci stare insieme? Di sicuro non per farci un favore. Io credo, che questa missione ha bisogno di soldati esperti, ci mettono di nuovo insieme, perché siamo bravi in quello che facciamo…”
“ Per me è per ucciderci tutti insieme in una sola volta! Visto che da soli non riescono a farci crepare!” Disse Pece.
“ Signori,” li interruppe Nikolaj. “ Stiamo correndo un po’ troppo con la fantasia, Sembriamo delle verginelle che fantasticano su come sarà la loro prima scopata! Per quanto mi riguarda potete avere ragione tutti, finche non conosco la nostra reale situazione, quindi, se per un attimo riuscite a scollegate il cervello dalla vostra bocca e la smettete anche solo di pensare a queste stronzate, entriamo e vediamo che sta succedendo ok?” Detto questo si avviò verso il centro comando preoccupato da quello che avrebbe potuto sentire. La curiosità gli stava lentamente logorando la pazienza, non avrebbe aspettato un minuto in più, doveva sapere cosa stava succedendo, e sperare di avere fortuna; ma l’ago della bilancia pendeva da tutt’altra parte.
Entrarono nella tenda. Tutt’ attorno c’erano grossi schermi che riproducevano cartine, spostamenti nemici, basi ostili e tutto quello che c’era da riprodurre in una guerra.
Il comandante era dietro un grosso tavolo di vetro riempito da carte e fotografie, intento a guardare una mappa satellitare. I suoi uomini gli giravano in torno portandogli i rapporti di ogni missione. Non era facile, pensò Nikolaj, essere il comandante di un intero battaglione e gestire tre o quattro missioni alla volta. Per lui era già esasperante guidare sei uomini, ma per fortuna lavorava con uomini indipendenti e capaci. Con loro c’era poco da spiegare, si faceva e basta.
Il comandante era basso e grasso, stempiato e con una faccia da duro, una faccia che aveva visto troppe cose per mostrare un sorriso. Aveva circa sessant’anni ma ne dimostrava novanta, consumato dalle miriadi di battaglie di cui era stato protagonista: una gamba di legno, l’assenza totale di capelli, una grossa cicatrice che si estendeva lungo tutto il collo. Era un monumento, al campo chiunque ricevesse anche una semplice parola di ringraziamento da quell’uomo diventava un eroe di guerra.
Alzò leggermente la testa e guardò Nikolaj da sopra i suoi occhiali da lettura, poi come se niente fosse ritornò a guardare le carte sul tavolo.
“ Tenente Crukòv, lieto di vederla ancora vivo.”
“Signore.”
“ Prima di incominciare ho due cose da dirvi,” il comandante alzò la testa, si tolse gli occhiali e guardo il gruppo. “ Primo: niente stronzate questa volta, o vi faccio rinchiudere a vita! Secondo: A fine missione ognuno di voi ritornerà alla sua squadra che gli era stata assegnata, se speravate che vi lasciassi insieme, vi siete sbagliati di grosso. E’ tutto chiaro?”
“ Signor si signore!” rispose il gruppo in coro.
Coglione.” Bisbigliò Cookie.
“Bene! Seguitemi!” Ordinò il comandante.
Le parole del comandante spezzarono qualcosa dentro Nikolaj, si sentiva abbattuto.  La sua sopravvivenza dipendeva da quel gruppo. In un anno aveva rischiato dieci volte di più di morire, di più di quello che aveva rischiato in tre anni con la sua squadra.
Era la sua famiglia, i suoi fratelli. Una missione in ricordo dei vecchi tempi e poi tutto tornerà come prima, pensò Nikolaj.
Il comandante li portò in un’altra tenda collegata alla precedente, dentro c’erano venti sedie posizionate in file ordinate e un telo per diapositive in fondo alla sala. Il comandante fece cenno di sedersi al gruppo e si mise in parte allo schermo.
“ Ieri alle 14.03. Abbiamo perso il contatto con l’avamposto 45.”
Nikolaj e Curtis si scambiarono un occhiata.“ E, da allora, non abbiamo più ricevuto nessuna notizia. Non sappiamo cosa sia successo a quei soldati.”
“Quand’è stato l’ultimo contatto signore?” Chiese Nikolaj
“L’ultimo contatto è avvenuto trentasei ore fa. Ci comunicavano di un soldato ferito ad un braccio, è stato morso probabilmente da un animale mentre era in pattuglia nel bosco, e che quando è arrivato non riusciva a parlare.”
“ Come fa un uomo, morso ad un braccio, a non riuscire più a parlare signore?” intervenne Pece.
“ E che cazzo ne so io! Sei tu il medico! Hanno detto che quando è arrivato al campo aveva la febbre altissima, faceva fatica a reggersi in piedi, l’hanno sistemato in infermeria e dall’ora ha continuato a peggiorare.”
“ Un infezione.” Rifletté  bisbigliando Pece.
“ Che hai detto soldato?” Il comandate era irritato dal bisbiglio del soldato.
“ Ho detto che molto probabilmente è un infezione, la causa della febbre. La bocca contiene miliardi di batteri differenti e contrarre un infezione da un morso è molto facile, solo che non capisco come mai è stata così rapida e violenta.”
“ Kwaku! Non me ne frega un cazzo della prognosi di quel soldato. Quello che mi frega è capire come mai, trenta soldati, non riescano ad usare una cazzo di radio!”
“ Non può essere stata quell’infezione di cui parlava Pece?” Chiese Cookie
“ Le infezioni  delle ferite non sono contagiose…” Lo zittì Ombra
“ Oh cristo! Sembra una seduta di alcolisti, che cazzo state dicendo? Ora, tappatevi la bocca, e aprite quelle cazzo di orecchie: Quel avamposto, con la sua antenna ad alta frequenza, ci mette in contatto con il resto del mondo,senza di quella siamo tagliati fuori. Quello che voglio ora è che andiate in quell’ avamposto, riattivate quella maledetta antenna e cercate quei soldati. Avete capito?”
I soldati fecero cenno con la testa.
“ Sergente Curtis, questo fascicolo è per te”Il comandante consegnò una cartelletta a David.
“ Cosa sarebbe signore?”
“ Sono i dati tecnici della antenna. Dato che sei l’ingegnere della squadra, il compito di ripristinare il sistema e riattivarlo spetta a te. Gli altri ti forniranno copertura e assistenza. Tutto chiaro soldati? ”
 “ Si signore!” risposero in coro.
“ Ok, allora, una camionetta vi porterà più vicino possibile, quando farà buio, saranno le vostre gambe a muoversi. La strada verrà indicata sui vostri GPS ma, fate attenzione, abbiamo rilevato spostamenti nemici da quelle parti e ricordatevi che non avete nessun tipo di copertura aerea, l’unica copertura che avete è la notte. Avete un’ora per prepararvi e presentarvi all’uscita del campo. Buona fortuna signori. Potete andare.”

TDW

THE DEAD WAR PARTE 1

 ANNOTAZIONI.


Viene percepito un pericolo a livello visivo, i fotorecettori dell’occhio inviano l’informazione all’ encefalo che la decodifica. La risposta è immediata:
Un impulso  parte dal nostro cervello, passa attraverso i nervi alla velocità della luce.
Blocca temporaneamente la muscolazione creando piccoli spasmi, le ghiandole surrenali riversano nel sistema circolatorio adrenalina.
Aumenta il battito cardiaco e la frequenza respiratoria, con la conseguenza di: un  maggiore afflusso di sangue nelle varie parti del corpo, di un aumento della pressione sanguinea che dilata i vasi sanguigni e di un abbassamento rapido della temperatura corporea.  
Le pupille si dilatano per ricevere più informazione luminosa.  Nella persona si verifica un intensificazione delle capacità fisiche e cognitive con relativo incalzamento del livello di accortezza e a seguire un  abbassamento delle capacità intellettive. La capacità di ragionare durante un attacco di panico è pari a zero.
Il cervello inserisce il pilota automatico convertendo la ragione nell’ istinto,  trasformando l’uomo pensante a un animale, niente pensieri; rimane l’unico concetto comune ad ogni essere vivente, la volontà di sopravvivere, di esistere.
Il sistema limbico, il sistema dove parte ogni istinto primordiale, prende le redini della situazione, non ti da spazio alla ragione, prepara il corpo alla fuga e all' imminente dolore limitando la funzione dei nervi recettori.
Con movimenti involontari la testa viene infossata all’interno delle braccia che si racchiudono coprendola ai lati facendo stringere i gomiti fino a toccarli, la parte inferiore della testa va a coprire lo sterno e così il cuore. Le gambe si avvicinano al busto  per proteggere i genitali e i vari organi rimasti scoperti. Sacrifica i tuoi arti per proteggere le parti più importanti: Testa, cuore e genitali.
Ti ritrovi in una posizione detta fetale ( posizione del bambino nella pancia della madre) che oltre a essere efficace fisicamente,funziona anche a livello psicologico lasciando una piccola e leggere serenità nel gesto , non che faccia passare la paura in per sé, ma in certi casi l’allevia.
In questa posizione, in cui si è stati creati, molta gente è anche morta.”




Capitolo I                        
Sconfitte.


D’istinto Nikolaj si lanciò dietro un blocco di cemento al centro della strada, atterrando dall’altra parte, la granata caduta a due metri da lui con un leggero tintinnio  lo aveva fatto scattare come un leopardo dietro il riparo di cemento. Si rannicchiò  tenendo la testa tra le braccia e aspetto la detonazione. Un boato seguito da una forte onda d’urto, fece tramare la strada dove era sdraiato, i suoni di finestre che scoppiavano riempirono tutta la via, pezzi di asfalto gettati in aria dall’esplosione caddero  sopra il suo corpo rannicchiato. Per un attimo nelle sue orecchie regno il silenzio seguito da un leggero ronzio simile a un fischio, percepiva i colpi dei fucili e le varie urla come all’interno di una campana di vetro, si guardò in giro stranito e confuso, il suo cuore batteva cosi forte che percepiva le pulsazioni anche nelle dita della mano che impugnavano una vecchia colt americana.
Si sistemo a sedere appoggiando la schiena contro il blocco che gli aveva appena salvato la vita, osservò la sua pistola con aria spenta. Era scarica. Con un movimento disinteressato la gettò via. I suoi occhi distratti si muovevano lentamente  distinguendo sangue e corpi dilaniati dall’esplosione, la polvere che si era alzata creava una sottile foschia che avvolgeva tutto. Ai lati della via c’erano case distrutte molto tempo prima dai missili dei carri armati e dal fuoco. Non era la prima volta che quella strada subiva un attacco e, quelle case, erano testimoni silenziosi di un conflitto infinito e crudele.
L’odore di bruciato misto alla putrefazione dei cadaveri che marcivano dalle battaglie precedenti ristagnava nell’aria, entrava nelle narici e ti scivolava lentamente nella gola stringendola in una morsa di disgusto. Gradualmente l’odore gli prendeva lo stomaco e con forti spasmi muscolari lo portava al rigetto. Il fetore era qualcosa di angosciante, nonostante tutte le sue battaglie non si era ancora abituato. Ogni volta che lo percepiva non riusciva a controllare  le contrazioni allo stomaco. Piegò la testa in avanti e con un verso strozzato si ritrovò a vomitare bile bianca sui pantaloni. Le tempie gli pulsavano, i suoi occhi sembravano uscire dalle orbite ad ogni spasmo, la sudorazione era aumentata e piccole gocce percorrevano la sua fronte.   
Nikolaj alzo la testa appoggiandola contro il blocco, chiuse gli occhi. La sua mente era già sprofondata nei ricordi lontani cercando di scappare da quella condanna angosciante. Era curioso come il rumore del fuoco, che bruciava una vecchia automobile li vicino, assomigliasse a quello della pioggia, facendogli tornare in mente il giorno che aveva conosciuto Alice.
La sua Alice.
Una piccola lacrima gli scivolò su tutto il volto. Posò la mano alla base della gola e afferrò una piccola rondella agganciata da un sottile filo di caucciù che girava intorno al collo.
Lentamente prese ad accarezzarla. Muovendo le labbra come se stesse pregando:        “Dove sei Amore mio? Ho bisogno di te...”
Una raffica di mitra vicina lo risvegliò da quel stato di trance in cui  era sprofondato; allarmato fece uno scatto allontanandosi da quello che i suoi sensi percepirono come pericolo. I suoi occhi, si mossero in direzione del rumore. Ad aspettare il suo sguardo c’era  un ragazzo di vent’anni circa, con una bandana rossa sulla testa e un completo mimetico verde, accovacciato in parte a lui e sporgeva il suo AK  mitragliando alla ceca. I bossoli dei proiettili detonati cadevano vicino e addosso alle gambe di Nikolaj che cercava di spostarli prima che gli bruciassero i calzoni.
Il ragazzo era tutto sudato e sporco di sangue e, ogni volta che il suo fucile ruggiva, lo accompagnava con urli disumani e parole violente.
Le sue palpebre spalancate  mostravano gli occhi iniettati di sangue di una belva.
La tensione fisica e mentale lo stavano logorando, ancora qualche minuto e lo stress da guerra avrebbe preso il sopravvento. Bisognava bloccare la sua instabile furia prima che la sua condizione psicofisica entrasse in un baratro confusionale.
“Ehi! Soldato!” Nikolaj non osava toccarlo, aveva paura che se si spaventasse e gli infilasse una pallottola in testa. Lentamente si accostò avvicinandosi al suo orecchio. Il soldato  gli dava le spalle, era appoggiato su un fianco al blocco di cemento e ogni tanto sbirciava con fare agitato per cercare un nemico da abbattere.
“SOLDATO! Che cazzo stai facendo?!” Tuonò Nikolaj cercando di mantenere un atteggiamento autoritario, anche se dentro di lui la paura gli stava già consumando lo stomaco.
 “Vuoi farti ammazzare per caso?!”
 Il ragazzo si accorse di lui solo in quel momento, era così preso dallo sparare che non l’ho aveva neppure notato. Si girò di scatto con un folle sguardo, lo guardò per un secondo negli occhi poi, sorridendo, gli fece il saluto militare e si rigirò.
La pazienza di Nikolaj aveva sparato i suoi ultimi colpi, lasciando il posto alla rabbia. Con uno scatto determinato  prese il ragazzo per la giacca tattica e lo tirò a sé. Lo buttò sull’asfalto e gli mise un ginocchio sopra lo sterno allontanando, con una manata, il suo fucile. Per un attimo lo guardò fisso negli occhi senza dire una parola. Il ragazzo aveva gli occhi persi nel vuoto e un sorriso demenziale sulla faccia.
“Sai chi sono soldato?” Ruggì Nikolaj
Il sorriso del ragazzo si spense e le sue sopracciglia si incurvarono. I suoi occhi non riuscivano a sostenere lo sguardo di Nikolaj e continuavano a muoversi in ogni direzione.  Le sue labbra si muovevano lentamente; Nikolaj avvicinò l’orecchio alla sua bocca, stava mormorando qualcosa. Era una frase articolata in maniera incomprensibile, riuscì a percepire soltanto: “Morte. Fuoco. Scappa. Nasconditi.”
Era andato. Il cervello non aveva retto un simile stress. Era collassato in un abisso di squilibrio.
Un'altra detonazione , più potente della prima,  scaraventò Nikolaj
a terra. Le sue orecchie iniziarono a fischiare ancora più forte. Tutto intorno a lui si fermò. Nessun rumore se non un insistente ronzio nelle orecchie, nessun movimento; la vista era offuscata e percepiva solamente delle ombre. Era caduto di schiena  e aveva picchiato la testa. Restò sdraiato per qualche istante prima di mettersi a sedere. Cercò con lo sguardo il giovane soldato. Era disteso sulla pancia e si stava trascinando verso il fucile.
-“ Soldato! Rimani dove sei!” Urlò Nikolaj.
Il soldato non lo ascoltò o forse non lo sentì nemmeno e continuo a strisciare. Prese il fucile. Si raddrizzò e con un urlo uscii allo scoperto sparando raffiche veloci di proiettili senza meta. I suoi urli erano disumani, gli occhi sporgevano e le sue pupille erano dilatate.
Nikolaj recuperò il suo Kalashnikov cercando di tenere a bada il giramento di testa: “ Soldato!” Nessuna risposta
“ Soldato fermati!” Ora i richiami di Nikolaj si fecero più disperati. “Fermati!!”
Il soldato era in piedi, in mezzo alla strada, il suo fucile aveva finito i colpi con fare agitato cercò rapidamente un caricatore ma tre colpi lo raggiunsero al ventre facendo schizzare il sangue in una leggera nuvola rossa. Il ragazzo si fermò e, con occhi spenti, cadde sulle ginocchia e si accasciò di lato.
“ NO!” Gridò Nikolaj.
Caricò il suo Ak e iniziò a sparare oltre il riparo. Muovendosi verso il corpo del ragazzo.
“Copertura!” Urlò ai soldati li vicino. Immediatamente le raffiche aumentarono di intensità, costringendo al nemico a ripararsi. Con tre scatti veloci raggiunse il corpo. Lo girò sulla schiena, il suo sguardo era vacuo. Posò la mano sulla giugulare, il battito cardiaco si percepiva ancora. Vide che i proiettili lo avevano colpito a livello del ventre e sapeva che presto i suoi succhi gastrici si sarebbero riversati fuori dallo stomaco corrodendo i suoi organi. Non aveva molto tempo
“Infermiere! Infermiere!” Gridò Nikolaj guardandosi intorno disperato.
Un Soldato coperto da un elmetto e un passamontagna nero si avvicinò. Aveva una fascia bianca con una croce rossa sul braccio sinistro.
“Uà!” esclamò il soldato.
“Presto! Aiutami a trasportarlo dietro quel riparo!”
 Lo presero per le spalline del giubbino tattico e tenendosi bassi lo trascinarono dietro il blocco di cemento. Le gambe morte del soldato trascinavano il suo stesso sangue creando due scie distinte di un rosso intenso quasi nero, il colore del sangue epatico. Le pallottole continuavo a fischiare sopra la testa di Nikolaj, le esplosioni, questa volta lontane, continuavano indisturbate a creare caos e morte. Le urla strazianti di dolore, dei soldati morenti, affondavano le proprie note demoniache  nei timpani dei vivi. Lentamente morivano.
Non è la morte stessa a farci paura, ma la consapevolezza di morire, l’incertezza del dopo.  Un morto, non ha più pensieri, dubbi e paure.  Quelle cose spettano ai vivi.
Un'altra esplosione arrestò per un instante le funzioni fisiche di Nikolaj, tutto si sospese. In un istante la realtà fu stravolta dal ricordo. Parole, scritte in qualche libro senza nome o semplicemente inventate, tornarono alla mente di Nikolaj:
“La guerra non ha pazienza, non ha voglia di aspettare e ne tanto meno di fermarsi. Una volta azionato il meccanismo, automaticamente si rompe la leva di arresto e continua finche ogni suo più piccolo componete, di questo tritacarne astratto, non si distrugge da solo. La guerra è un paradosso reale nell’istinto della conservazione della specie. Un meccanismo di autodistruzione  non presente in natura. Un destro in pieno volto a Madre Natura.”
Confuso di quel ricordo riprese a tirare il corpo che, con un ultimo sforzo, riuscì a metterlo al riparo. Era sfinito, le mani gli tremavano e le gambe avevano spasmi muscolari per lo sforzo. L’infermiere esamino velocemente il ragazzo con un fare meccanico più che umano; chissà quanti altri corpi avrà visto, curato o lasciati morire, pensò. Il passamontagna lo rendeva cupo, i suoi occhi grigi fissavano attentamente le ferite, lo sguardo si spense  e fissando Nikolaj scosse piano la testa. Il cuore di Nikolaj sembrò fermarsi.
 No… Un altro.”
“Tenente, questo qua è andato!” Disse l’infermiere trafugando nella sua borsa del primo soccorso.
 “Avrà ancora dieci minuti di vita! Devo eseguire il protocollo S.T.H !”
Il protocollo S.T.H ,ovvero “Protocollo Starway To Heaven” era un tecnica adottata dai Comandanti negli ultimi anni di guerra, proposta dal colonello Marshall, che oltre a essere un sadico e famoso per le sue torture maniacali, era un grande appassionato dei Led Zeppelin. Il suo senso dell’umorismo non era dei migliori.
Il protocollo S.T.H consisteva nel somministrare una dose elevata di morfina cosi che il corpo non avesse nessuno stimolo dall’esterno, e poi un soldato gli  sparava dritto in testa. Lo si accompagnava alla “scala del paradiso.”
I grandi capi affermavano che questo aiutava il morente ma, tra i soldati era visto come un omicidio, un atrocità. Ed era dura trovare uno che lo volesse fare. Nessuno voleva sparare a un fratello che magari gli aveva appena salvato la vita sacrificando la sua. E così iniziarono le proteste contro il protocollo.
Quattro soldati, tutti di grado superiore al sergente, si opposero. Di quei ragazzi, nessuno ebbe più notizia. Così si passò alla legge: “ Meglio lui che me.” Nel silenzio più crudele.
 Nessuno lo diceva ma tutti lo pensavano.
 Questo di sicuro non ti aiutava a dormire.

“ Fai quello che devi! E fallo in fretta tra poco dobbiamo ritirarci, quei bastardi stanno avendo la meglio!” Disse Nikolaj.
 Dopo di che si allontanò di qualche passo e torno a osservare la linea nemica. Cercava di mettere insieme un piano di fuga, ma i suoi pensieri vennero interrotti da un sparo netto proprio dietro di lui.
Un altro. Troppi. Non riesci più neanche a ricordare i loro nomi. ”
Nel suo cervello le informazioni non riuscivano più ad avere un senso logico era sparpagliate in tutta la materia grigia.
 “Che casino.”
Bisognava sgomberare la zona, in prima linea con lui erano rimasti solo venti soldati sparpagliati dietro auto, blocchi di cemento o dentro le buche. Sparavano all’impazzata ma il nemico sembrava essere più numeroso e più organizzato.
I colpi di fucile e raffiche di mitra tuonavo nell’aria, i colpi di mortaio che colpivano la seconda e la terza linea facevano da accompagnamento a quella banda musicale di morte.
Nikolaj si guardò in torno:
“ Curtis! Ehi Curtis!” Chiamò.
 Un soldato  non più distante di una decina di metri con un grosso zaino sulle spalle  alzo la testa.
“Curtis vieni qua! Mi serve quella maledetta radio!”
 Il soldato, esitò, terrorizzato all’idea di attraversare la strada per dieci metri con tutti quei mitra pronti a sparargli.
“Curtis non ti preoccupare! Ti copriamo noi!”
 disse un soldato vicino al lui appoggiandogli una mano sulla spalla.
Curtis si fece coraggio:
“Quando siete pronti, io vado!” esclamò.
Il soldato fece passaparola con gli altri uomini:
“ Ok gente! Diamogli un po di fuoco di copertura! Tutti pronti!”
Quando tutti furono in posizione, Curtis si fece il segno della croce e per un istante chiuse gli occhi.
Vedi di non morire...”
“Fuoco di copertura!”  Urlò il soldato.
Subito una potente e sincronizzata raffica esplose bloccando, momentaneamente il nemico dietro le loro protezioni.
Curtis corse come una gazzella inseguita da un leone, In testa non aveva nessun pensiero e le gambe si muovevano su ordine della paura. La radio che portava nello zaino lo limitava nei movimenti, rendendolo più lento: ad ogni passo si muoveva a destra e a sinistra, creando squilibrio nella corsa. Dieci chili di radio sulle spalle più arma e munizioni a seguito, rendevano un semplice scatto di dieci metri una vera e propria maratona ad ostacoli.
Arrivato al riparo di cemento, dove c’era Nikolaj concentrato a sparare, si lanciò a terra e strisciò contro il muro. Cercando di controllare il respiro affannato. Urlò:
“ Sergente Curtis a rapporto Signore!”
“ Curtis, risparmia le formalità e dammi quella cazzo di radio!”
Il sergente si girò dando la schiena a Nikolaj. Il tenente  aprii lo zaino e ne estrasse una specie di telefono, regolò la frequenza e inizio a cercare un contatto:
“ Qui          hyena 4 mi ricevete? Passo.” Dall’altra parte si sentivano piccole interferenze.
“ Qui          hyena 4 mi ricevete? Passo.” Ripete. Si sentii un rumore simile a un ticchettio. 
“Qui Volture H. ti riceviamo passo.”
“ Volture H ho bisogno di un estrazione immediata di venti uomini, alla zona 2-1-4   segnalazione luogo di estrazione con fumogeno rosso! Confermare passo.”
“Negativo Hyena 4 dalle mie informazioni la zona 2-1-4 è ancora calda, il comando non autorizza un atterraggio in quelle condizioni. Passo.”
“ E che cazzo dovrei fare allora?”
“ Hyena 4 mi informano dal comando che devi prima rendere sicura la zona. Passo.”
“ Ci stanno distruggendo qui,  non riusciamo più a respingerli! Abbiamo perso intere compagnie, siamo rimasti in venti e siamo a corto di munizioni. La situazione è critica! Passo.”
Curtis percepii la disperazione del tenente. Questo non gli fu certo di conforto. Erano nella merda certo ma non pensava così tanto.
“ Hyena 4 Il comando mi ha dato l’ordine di estrazione alla zona 2-1-6 è a circa due chilometri dalla vostra posizione. Il comando sta inviando le coordinate sui vostri GPS. Avete dieci minuti. Passo e chiudo.”
Nel cuore di Curtis qualcosa riprese a funzionare, una sensazione simile ad un sollievo, Per un attimo aveva creduto di essere stato abbandonato ad una tragica sorte. Ma anche oggi la fortuna era con lui.
Un “bip” richiamò l’attenzione di Nikolaj, Il suo GPS posizionato sul polso, stava lampeggiando. Sullo schermo veniva indicato il percorso da seguire; erano tutte strette vie secondarie: “Sicure per il comando, rischiose per i soldati.” Se avessero incontrato anche tre nemici pronti al fuoco, nessuno si sarebbe salvato. Ma le alternative erano di morire in quella strada o morire tentando di salvarsi. La scelta era vincolata. Controllò il suo caricatore: il sergente e l’infermiere seguirono l’esempio. Alzando leggermente la testa, osservò il nemico avanzare lentamente tra le macerie.
Merda, questa è la volta buona.”
Si guardò intorno cercando con lo sguardo i soldati riparati dietro uno spargi traffico in cemento a non più di dieci metri da loro, e urlò l’ordine di ritirata; questi passarono l’ordine ai soldati più distanti. Quando gli fecero un cenno affermativo, Nikolaj staccò l’innesco dal suo fumogeno e lo lancio oltre il riparo:
“Lasciate i fumogeni!” Urlò.
A seguire dal suo ordine ci fu un coro che ripeté il comando ai soldati più distanti.
“Lanciare!”
Una decina di fumogeni attraversarono l’aria e atterrarono a trenta metri dalla loro posizione.
“ Fuoco di sbarramento!”
Continuando a sparare brevi raffiche aspettarono che la cortina di fumo offuscasse il nemico. Era la loro unica occasione, il fumo li avrebbe rallentati per qualche minuto ma non di più.
La foschia si alzò creando una fitta cortina. Le postazioni nemiche  non si vedevano più, ma le mitragliate continuavano.
“Fermali.”
Da una delle tasche tattiche tirò fuori una granata accecante. Tolse la sicura e urlò:
“Lanciate gli accecanti!”
Si alzò in piedi, sganciò la leva d’innesco e lanciò il flashbang all’interno della cortina. Dieci uomini lo seguirono a ruota lanciando sincronizzati  più lontano che potevano. Velocemente si abbassò e si tappò le orecchie e chiuse gli occhi.
Attraverso le sue palpebre chiuse percepì un lampo accompagnato da un leggero tuono attutito dalle sue mani. Le raffiche nemiche si fermarono.
 “ Via..”
“ Ora! Ritirata! Ritirata! Via! Via! Via!” Nikolaj Indicò, agitando la mano, la direzione della ritirata.
Scattò in piedi e inizio a correre lungo la strada tenendo bassa la testa. Curtis e l’infermiere gli stavano dietro, cercando di non inciampare nei detriti e corpi morti che ricoprivano la via. Il resto dei soldati era a circa cinque metri da loro, alcuni si giravano e sparavano brevi raffiche all’interno della cortina, per cercare di rallentarli.
Avevano percorso circa cento metri quando le mitragliate si ripresero la scena. A circa centocinquanta metri c’era la via secondaria che li avrebbe portati all’elicottero, Nikolaj accelerò la corsa.
Alcuni soldati furono colpiti dai proiettili nemici e cadevano con urla strazianti e richiami di aiuto, altri non emettevano alcun suono, morti ancora  prima di toccare il suolo.
Quando un uomo cascava ferito al suolo durante la ritirata, nessuno si fermava a vedere se era morto o no. Un atto meschino, un atto di codardia  o puro istinto di sopravvivenza; La si può pensare come si vuole osservandola dall’esterno, ma in quelle situazioni si è solo concentrati sulla propria vita e i soldati, quel giorno, continuarono a correre tendendo la testa bassa senza voltarsi.
Una scelta logica se sei all’inferno.
Piangeranno i loro morti in silenzio.”
Entrarono nella via con le pallottole che fischiavano sopra la loro testa.
Non era più larga di due metri. Nell’ aria c’era un senso di sicurezza che non si percepiva da diverse ore; la luce che entrava in quel vicolo creava un atmosfera serena. I colpi dei fucili nemici si placcarono. Ma Nikolaj continuò a correre, cominciava a mancargli il fiato e la sua attrezzatura era veramente un impiccio nella corsa. Decise di liberarsi delle cose superflue. Si slaccio il giubbino tattico e l’elmetto. Prese un caricatore e lo infilò nella tasca dei pantaloni. Lanciò dietro di se il giubbotto e l’elmetto sperando di non aver sbagliato il momento. Sistemò il suo Ak dietro la schiena, strinse  le cinghia per farlo aderire il meglio possibile.
Ora si sentiva meglio e la sua corsa diventò un po’ più fluida,  dovevano resistere ancora duecento metri e sarebbero arrivati all’elicottero.
Svoltarono in una via  alla loro sinistra e dopo cinquanta metri svoltarono a destra; alla fine della  via c’era un grandissimo spiazzo dove una volta c’era la piazza principale del paese. Intorno non era rimasto più niente a parte macerie e vecchie fondamenta delle case. Tutto era morto in quel paese; era stato abbandonato molti anni prima che la guerra scoppiasse, nessuno sa il perché, nessuno nel mondo si ricordava di questo posto. Come se gli abitanti fossero spariti su un altro pianeta portandosi dietro il ricordo e il nome di questa cupa città.
A Nikolaj non importava la storia e tanto meno il ricordo o i suoi abitanti. Lui era pagato per condurre la sua squadra, per sparare, per dare ordini, per uccidere.
Un mercenario. Che la gente fosse scomparsa non gli importava e ne tanto meno lo intimoriva. Vedeva morte e sparizioni ogni giorno, oramai non provava più niente.
L’elicottero era già atterrato nella piazza, un grosso Black Hawk d’assalto nero opaco con un teschio stampato sulla fiancata destra. Un elicottero creato per poter trasportare i soldati nelle zone di guerra più calde; aveva due mitragliartici a canne rotanti per fiancata, una mitragliatrice in mezzo a due lancia razzi sotto il muso. Era uno dei migliori velivoli,  pericoloso ed efficace. Quando era stato prodotto per la prima volta, alla fine degli anni ottanta, veniva consegnato con due sole mitragliatrici posizionate sulle fiancate, ma gli ingeneri del campo base erano molto creativi con le armi fisse e, così, realizzarono il Black Death. La punta di diamante. Quella grossa scatola di ferro aveva salvato più vite di quello che aveva fatto il vaccino contro malaria in tutta l’Africa.
Nikolaj doveva qualche favore a quel pezzo di ferro ed al suo equipaggio. Il Black Death era famoso per un suo “numero” personale: I venti giri della morte:
 Qualche Mese indietro da quel giorno, Il Black Death aveva dovuto  partecipare ad una missione di estrazione molto pericolosa. A circa venti chilometri da dove si trovavano oggi. In una piccola cittadina chiamata Danville.  Dieci soldati del reparto sabotaggio erano rimasti circondati al centro di una piazza. Avevano trovato riparo dentro un buca larga due metri, tutti intorno a loro i soldati nemici li tenevano incollati  a terra con fuochi incrociati. Da ogni parte di quella grossa piazza si guardasse c’erano nemici pronti a farti abbassare la testa a colpi di mitra. La situazione era critica è un estrazione in quel punto sarebbe stato un suicidio completo ai gli occhi di un normale soldato, ma per il centro comando quei soldati andavano salvati. I sabotatori non erano facili da trovare, il loro lavoro era il più rischioso di tutti gli altri e nessuno voleva farlo. Erano i figli di puttana più duri di tutto il regimento. Per il comando valevano più del presidente degli stati uniti.
Così ci mandarono il Black Death che diciamo, oltra a essere una macchina da guerra eccellente, aveva anche un tocco di classe. Arrivarono all’ appuntamento facendo uscire dai suoi altoparlanti Psycosocial degli Slipknot. Chi era in quella buca, non se lo dimenticherà mai. I soldati nemici rimasero increduli alla vista di un simile elicottero e la musica non fece altro che aumentare lo sgomento.
Si abbassarono al centro della piazza a circa due metri dalla buca dei soldati. La polvere si alzò in un secondo, qualche proiettile sparto alla cieca, raggiunse la carrozzeria dell’elicottero, ma niente di preoccupante visto il doppio strato di acciaio.
Per procedere all’estrazione, bisognava prima sgomberare l’area dalle potenziabili minacce: Spararono dei fumogeni ai quattro lati della strada, sempre sospesi,  iniziarono a girare su se stessi lentamente, quando raggiunsero una velocità di venti giri al minuto iniziarono a sparare con tutto il loro arsenale, il risultato era come vedere una girandola di capodanno che invece di illuminarsi sparava razzi e proiettili.
I venti giri della morte.
La missione di salvataggio fu un vero e proprio  successo. Il pilota e la sua squadra ricevettero una medaglia e il rispetto di tutto il campo, Ora sono delle leggende viventi. Se vai in missione con loro che ti coprono dall’alto sicuramente avrai un dieci per cento in più di sopravvivere. Un angelo custode dell’inferno.
“Presto! Salite!”  
Un soldato, con addosso delle cuffie e dei Ray Ban aviator, sporgeva dall’abitacolo e gli faceva cenno di salire. Le pale giravano velocemente, sollevando polvere e piccoli detriti. Nikolaj correndo cercò di proteggersi gli occhi mettendosi davanti la mano e guardando in basso. Solo quando fu praticamente sotto le pale alzò lo sguardo verso il soldato nell’elicottero.
“ E’ un piacere vederti Dimitri!” Disse Nikolaj con un tono di voce un po’ più alto.
“ Oh Nikolaj! Se non c’è Mamma Black come faresti a finire le tue missioni?” Dimitri gli porse la mano, Nikolaj l’afferrò con una stretta amichevole e salii sull’ elicottero.
“ Già, credo di avere una dipendenza da questo pezzo di ferro!” colpì il tetto interno dell’elicottero con delle leggere manate.
“ Cerca di non innamorarti di questo bestione! finiresti solo per soffrire. E’ nato per        spezzare i cuori alle persone!” Disse indicandogli la Minigun.
 I due si guardarono sorridendo,  Dimitri gli fece l’occhiolino guardandolo al di sopra delle lenti da sole, si accese una sigaretta e ritornò alla mitragliatrice dell’elicottero.  
Mentre gli altri soldati salivano, Nikolaj si sedette vicino alla cabina tra i due sedili dei piloti. Tirò un lungo sospiro di sollievo. Poi, con mezzo sorriso, si giro verso il pilota:
“ Allora Stuart dove ci porti di bello?”
“ A casa Nick! Vi porto a casa.”