Capitolo II
A Casa.
“Quanto tempo era passato da quando era arrivato qui?
Quante persone aveva conosciuto? Quante erano morte?”
Nikolaj si svegliò di soprassalto da uno dei tanti incubi che, lo accompagnavano fedelmente da ogni rientro- missione. Si alzò e si sedette sul bordo del letto, massaggiandosi il collo. Le varie cadute del giorno prima gli avevano causato qualche lesione e diversi ematomi sparsi per il corpo. Le orecchie erano ancora tappate e gli facevano male, le avrebbe fatte vedere al dottore in quella mattinata, ma prima avrebbe messo qualcosa sotto i denti e fatto la conta dei caduti e dispersi con gli altri sopravvissuti. Era la parte peggiore. Ripetere i nomi dei compagni persi, dichiarare se li avevano visti morire o no, se si: qualcuno diceva due parole veloci in ricordo; se nessuno aveva visto niente il nome del soldato veniva passato al comando che valutava un possibile recupero. Non capitava mai. Il rischio era sempre elevato.
Nikolaj si infilò una maglietta bianca con un piccolo teschio stampato all’altezza del cuore, dei pantaloni neri con tasche tattiche e delle “converse” ,conosciute soprattutto con il nome “ciabatte del soldato”, indossare quelle scarpe significava che per un periodo saresti rimasto nel campo a bere, fumare o in compagnia di qualche prostituta.
Non era sicuro che per lui non ci fossero più missioni da fare, la parola sicuro era instabile anche all’interno del campo. Le mise semplicemente per far capire che intenzioni avesse al suo comandante e al suo centro di comando; dove, nel primo pomeriggio, avrebbe dovuto consegnare il suo rapporto.
Nikolaj recupero sul tavolo, vicino al letto, i suoi occhiali da sole e la Glock, se la infilo nella fondina , e uscì dalla tenda. Il sole quella mattina era particolarmente caldo e i suoi raggi filtravano attraverso gli alberi della foresta. Alzò lo sguardo verso il cielo e respirò profondamente: nel aria c’era l’odore del bosco, dei fiori, della primavera. I pochi raggi che raggiungevano Nikolaj, gli scaldavo il volto lasciandogli una sensazione di piacere. Se non fosse stato per i schiamazzi degli altri soldati e la musica, avrebbe potuto udire gli uccelli cantare e il fruscio del vento tra gli alberi. La sua tenda era la più lontana dal centro del campo, una scelta saggia fatta all’inizio campagna. In quel punto si poteva sentire ancora qualche odore di natura, ma più ti avvicinavi al centro del campo e più si percepiva il fetore del gasolio, delle latrine e del mangiare.
Quel piccolo spazio era il suo lembo di paradiso, ne aveva bisogno, senza, non sarebbe più stato capace di riconosce la bellezza e di poterla apprezzare.
Diede un ultimo sguardo al cielo e si incamminò verso la mensa.
Il campo era molto movimentato, c’erano soldati che chiacchieravano, altri che bevevano e quella mattina, come ogni tanto capitava, non più lontano di dieci tende da quella di Nikolaj, stavano improvvisando una partita di calcio: le porte fatte con sacchi e zaini, fecero tornare alla mente i ricordi di quando era bambino.
Avrebbe voluto giocare, divertirsi come un tempo, pensare, per un attimo, di essere ancora bambino, ma le botte e le lesioni della guerra lo tenevano saldo con i piedi per terra. Impotente e intristito decise di andare oltre e non pensarci più. Aveva già troppe cose da tenere a bada nel cervello.
La strada che attraversava il campo, si diramava in tante altre piccole strade secondarie, che portavano alle tende.
Assomigliava ad un grosso campeggio estivo, a parte che le tende erano tutte verde scuro e non colorate, tutto il campo era circondato da mura di cemento, alte tre metri più mezzo metro di filo spinato e postazioni di vedetta ogni venti metri. Sembrava un campo di prigionia più che un campeggio. Angosciante. Nikolaj ogni tanto si chiedeva se il filo spinato servisse a non far entrare i nemici o a non far scappare i soldati.
Più si avvicinava al centro del campo, più il traffico di jeep militari aumentavano di intensità. Sfrecciavano su e giù dal campo, trasportando munizioni, armi, medicinali, cibo, gasolio. Nikolaj se ne stava sul ciglio della strada camminando a testa bassa fumando una Marlboro. Il ragazzo che aveva visto morire in preda alla pazzia, lo tormentava ininterrottamente: la sua faccia e le sue parole. In tutti i suoi anni di guerra, forse questa, era la cosa più angosciante di tutte. Non era solito pensare a uomini di un'altra squadra, li vedeva più come figuranti in un teatro di morte. Ma questo soldato era diverso, il suo sguardo compariva davanti ai suoi occhi, occhi persi nei più oscuri abissi della mente.
“Morte. Fuoco. Scappa. Nasconditi.”
Una Jeep gli passò affianco a gran velocità, riportandolo bruscamente alla realtà. Si girò, guardando in cagnesco la jeep che si allontanava sollevando la terra battuta della strada.
“Coglione!”
Era arrivato nella zona ospedaliera del campo, dove si estendevano ben dieci tende marchiate con croci rosse sui lati. La via vi passava attraverso, dividendo a metà l’unità ospedaliera. Ovunque guardasse, c’erano macchie di sangue, sacchi neri per cadaveri, alcuni pieni, altri pronti per essere riempiti; le urla di agonia aumentavano di intensità.
Jeep porta feriti ricoperte di sangue aspettavano pazientemente fuori da ogni tenda.
Dei malati e feriti non c’era traccia, l’unico via vai era di dottori in camice bianco o verde che si muovevano di gran fretta da una tenda all’altra.
“Prima a poi ci passano tutti.”
Era quasi arrivato alla fine dell’ospedale, quando vide un infermiere chino su un morto inserito all’interno di un sacco nero, con la cerniera aperta fino al busto, sistemato fuori da una tenda, la mano era appoggiata sulla testa e dalle sue labbra uscivano bisbigli veloci in una lingua che non aveva mai sentito prima. Rallentò, inconsciamente, continuando a fissare la scena.
L’infermiere stava accarezzando la testa del morto, continuando a bisbigliare quello che a Nikolaj pareva una preghiera. Si era fermato a fissare quel rituale, quando l’infermiere alzò la testa e lo fissò dritto negli occhi. Nikolaj rimase ipnotizzato e allo stesso tempo spaventato da quegli occhi di ghiaccio, avevano un colore grigio tendente al bianco messi in risalto soprattutto dalla sua carnagione mulatta. L’infermiere lo fissò ancora per qualche istante, poi si ritirò dentro la tenda.
Si ricordò di aver visto quegli occhi il giorno prima, durante la battaglia, erano gli occhi del soldato che aveva eseguito l’S.T.H a quel ragazzo. Rabbrividì pensando alla scena macabra di quel giorno: Il corpo del soldato con un piccolo foro in mezzo agli occhi e la bocca aperta, lasciato in mezzo alla strada come un animale.
“Lasciami in pace.”
Aveva appena superato il campo dell’ospedale quando, da una tenda, usci un ragazzo di circa vent’anni, capelli biondi tagliati corti, indossava una maglietta bianca con un piccolo teschio, dei pantaloni neri, e una Glock nella fondina attaccata alla cintura.
“ Buongiorno tenente!” Disse sorridendo, e avvicinandosi a Nikolaj, gli fece il saluto militare.
“ Buongiorno Curtis! Già fatto colazione?”
“ Ci sto andando adesso signore! La posso accompagnare signore?”
“ Certamente! Ah, fammi un favore, smettila di chiamarmi signore ok?”
“ Va bene sign…, Ehm, Ok!” Curtis per un attimo diventò rosso dall’imbarazzo ma Nikolaj non gli prestò attenzione.
“ Curtis tutto bene?”
“ Ehm, si. Cioè no. C’è una cosa che mi turba, ho sentito delle voci dagli altri soldati, parlavano dell’ avamposto 45, dicevano che non c’è più nessun contatto radio da più di ventiquattro ore. Dicono che sono stati attaccati, che sono spariti.”
“ L’avamposto 45 è a più di trenta chilometri da qui ed è dietro la montagna. Avranno avuto delle interferenze o un guasto alla radio, non devi credere a tutto quello che senti, finirai col impazzire. Ma poi, scusa, che interesse hai di quel posto? ”
“ Ho un amico, il sergente John Tunh, lo conosce per caso?”
“Era nella nostra squadra?”
“ No.”
“Allora non lo conosco. È americano come te?”
“ Si, John ed io abbiamo fatto l’accademia militare insieme. Una volta promossi siamo stati insieme in Iraq per tre anni. Poi abbiamo deciso di fare un po’ di soldi e ci siamo arruolati qui. Lui era un tipo chiacchierone e aveva il vizio di protestare molto, soprattutto con il comando. E questo a loro non andava affatto bene, Perciò, un giorno, l’ho visto ricevere una lettera di trasferimento a quell’ avamposto. Il più lontano possibile. ”
“ Già, quell’avamposto è famoso, li è pieno di soldati scomodi per il comando. Tuttavia, sono sicuro che il tuo amico stia bene, ho sentito storie che raccontavano del relax che vige in quell’avamposto, tutti i giorni lontani dalla guerra. Sicuramente sarà sdraiato da qualche parte a bere e fumare.”
“ Lo spero.” Curtis fece una smorfia come se stesse iniziando a piangere ed abbassò la testa, nascondendola dalla vista del tenente.
Nikolaj provò compassione di fronte a quella scena. Curtis era un soldato eccellente e sembrava l’unico in grado di non farsi influenzare dalla guerra. Credeva ancora nel bene e non aveva incubi. Era il tipo che se ne stava per le sue, che quando doveva confrontarsi con i suoi superiori abbassava la testa; ma se gli davi in mano un mitragliatore svolgeva il suo lavoro in maniera pulita e perfetta. Era una macchina da guerra coi contro fiocchi, anche se era un po’ timida.
Il tenente gli posò la mano sulla sua spalla e lo guardò, Curtis timidamente alzò la testa e ricambio il suo sguardo con un lieve sorriso.
“ Ieri hai combattuto bene!” Disse Nikolaj cercando di tirarlo su di morale.
“ Grazie tenente, ma ho fatto solo il mio lavoro, mi pagano per combattere.”
Nikolaj rimase stupido dal modo in cui Curtis gli rispose, poi i suoi occhi guardarono lontano:“ Spero che stia bene.” Concluse.
Entrarono nel grosso tendone che era la mensa del campo, all’interno circa trecento soldati era seduti ai tavoli e chiacchieravano allegramente creando una forte confusione.
Presero dei vassoi e si misero in fila. Davanti a loro c’era un uomo enorme, alta circa due metri e larga un metro, la testa rasata, una maglietta bianca e dei pantaloni neri, Invece della Glock, aveva un machete lungo quaranta centimetri. Infilato nella fondina attaccata alla gamba sinistra.
“ Ehi Cookie! Che si dice in giro?” Disse Nikolaj alzando la voce per superare il rumore.
Il bestione si girò verso di lui lentamente:
“ Tutto ok tenente! Ho sentito che ieri vi hanno fatto il culo!”
“ La solita routine. Come sempre il comando ci aveva fornito dati sbagliati sulle posizioni nemiche.”
“La solita merda.” Cookie fece una smorfia di disgusto: “ Non sanno mai un cazzo!”
“ Se non fosse stato per il Black, quella strada sarebbe stata la nostra bara.”
“ Il Black è il nostro angelo, lo dico sempre io!” Cookie guardò Curtis e poi guardò Nikolaj: “ Comunque, se non siete stati ancora informati, e dalle vostre facce si capisce di no, il comando vuole la nostra vecchia squadra a rapporto, subito dopo colazione.”
“ Dici sul serio?” Chiese Curtis incuriosito.
“ Che cazzo gli prende a quelli del comando? Come mai ci vogliono insieme?”
“ Per una missione credo, tutto quello che so e che stanno cercando soldati con le palle per fare questo lavoretto! E guarda caso non hanno trovato nessuno di discreto; così hanno chiamato noi ancora una volta, per fare il lavoro sporco che nessuno vuole fare! ” Cookie guardò le scarpe di Nikolaj:
“ Mi sa che quelle scarpe dovranno aspettare ancora un po’tenente!”
“Credo di si Cookie. Ma, Questa cosa, puzza di fregatura, quindi occhi aperti ok?”
Nikolaj era deluso dal fatto che non si sarebbe riposato qualche giorno in più, e il fatto che il comando abbia voluto rimettere insieme la squadra era per lui una cosa sospetta. La loro vecchia squadra era composta da professionisti, veterani di guerre in ogni parte del globo: Mozambico, Cecenia, Jugoslavia, Iraq, Palestina e Nord Corea.
Era difficile dirgli quello che dovevano fare, e molte volte prendevano decisioni proprie, questa cosa faceva alterare i nervi ai comandanti, ma le loro missioni furono sempre completante a regola d’arte e quindi al centro comando chiudevano un occhio sulla loro mancanza di disciplina.
Il comando decise di dividerli e rinchiuderli in gatta buia per tre mesi per un fatto accaduto un anno indietro a Nash (una città di venti mila abitanti): Un comandante di un battaglione aveva fatto uscire tutti i civili rimasti dalle loro case e li aveva condannati alla fucilazione per tradimento; era una cosa surreale, i pochi civili rimasti erano tutta gente povera che non aveva avuto la fortuna di partire, e, questo, il comandante lo sapeva bene. La squadra cercò di farlo ragionare su quello che stava per fare, ma non volle sentire ragione, era così consumato dalla rabbia e dell’orrore che si era trasformato in un sanguinario. Quando Nikolaj e la sua squadra si misero in mezzo tra il plotone d’esecuzione e i civili con le armi puntate, il comandante non esitò un istante a urlagli parole che riguardavano il tradimento e la loro fucilazione dopo i civili, passo falso.
Il primo colpo partì dal fucile di Nikolaj che centrò in pieno la testa del comandante, e, a seguire, gli altri spararono al plotone. In una frazione di secondo, ogni soldato con l’arma puntata verso di loro si ritrovò sdraiato a terra con una pallottola in fronte.
Fine della storia.
L’unico motivo per cui erano ancora vivi, era perché erano efficientissimi nel loro lavoro, cosi, li divisero in altre squadre, dopo tre lungi mesi di prigione.
I comandanti firmarono un giuramento imposto da loro stessi che niente e nessuno avrebbe rimesso insieme la squadra, catalogata come instabile e estremamente pericolosa per la campagna in corso.
Se il comando aveva preso una decisione così rischiosa, infrangendo le loro leggi e il loro giuramento, voleva dire due cose: Missione suicida o erano nella merda fino al collo e a Nikolaj questo non piaceva per niente.
“ Ok Cookie,” Disse Nikolaj sbuffando. “Ci troviamo fuori dal comando tra venti minuti, dillo anche agli altri. Ora godiamoci la colazione.”
Venti minuti dopo.
Fuori dalla tenda, ad aspettarli, c’erano tre uomini vestiti nella stessa maniera di Nikolaj, dalla loro carnagione e dai loro tratti somatici si capiva a grandi linee le loro origini, c’era un asiatico, basso e magro, capelli neri tagliati corti; Un africano, alto e muscoloso, pelato; un arabo, altezza e corporatura nella norma, capelli lunghi raccolti in una coda.
“Tenente che sta succedendo? Cos’è questa storia?” Chiese quello con la carnagione più scura.
“Non lo so nemmeno io Pece, sono venuto a saperlo da Cookie mezz’ora fa.”
“ Grandioso! E io che credevo che avesse tutte le risposte!” Intervenne l’arabo sorridendogli.
“ Mi dispiace deluderti Amin, ma questa volta sono stato messo all’oscuro di tutto. Comunque, vedo che non ve la passate tanto male!”
“ Su certi aspetti non posso darle ragione tenente, le missioni che mi hanno assegnato in quest’ultimo periodo, erano tutte da suicidio. Sembrava proprio che mi volessero togliermi dalla scena a tutti costi.” Disse l’asiatico
“ Già, ho avuto la stessa sensazione anch’io!” Disse Nikolaj.
“ Ombra ha ragione, in questi ultimi mesi alla mia squadra hanno dato sempre informazioni sbagliate. E tutte le volte ho rischiato di beccarmi una pallottola!” Amin sembrava preoccupato e le sue parole lo confermavano, del resto, lo erano tutti.
“ Dici che il comando c’è l’ha ancora con noi?” Chiese Curtis.
“ Secondo te? Dopo il casino che hanno fatto per dividerci, gli è già passato tutto?” Ma che cazzo ti dice il cervello?” Cookie mollò un pugno sulla spalla di Curtis.
“ Cookie, Perché quel testosterone che ti si forma in mezzo alle gambe non lo fai arrivare anche al cervello? Lascialo continuare!” Intervenne Pece mentre Curtis si massaggiava la spalla; poi riprese il suo discorso: “Dicevo: se il comando c’è l’ha ancora con noi, perché farci stare insieme? Di sicuro non per farci un favore. Io credo, che questa missione ha bisogno di soldati esperti, ci mettono di nuovo insieme, perché siamo bravi in quello che facciamo…”
“ Per me è per ucciderci tutti insieme in una sola volta! Visto che da soli non riescono a farci crepare!” Disse Pece.
“ Signori,” li interruppe Nikolaj. “ Stiamo correndo un po’ troppo con la fantasia, Sembriamo delle verginelle che fantasticano su come sarà la loro prima scopata! Per quanto mi riguarda potete avere ragione tutti, finche non conosco la nostra reale situazione, quindi, se per un attimo riuscite a scollegate il cervello dalla vostra bocca e la smettete anche solo di pensare a queste stronzate, entriamo e vediamo che sta succedendo ok?” Detto questo si avviò verso il centro comando preoccupato da quello che avrebbe potuto sentire. La curiosità gli stava lentamente logorando la pazienza, non avrebbe aspettato un minuto in più, doveva sapere cosa stava succedendo, e sperare di avere fortuna; ma l’ago della bilancia pendeva da tutt’altra parte.
Entrarono nella tenda. Tutt’ attorno c’erano grossi schermi che riproducevano cartine, spostamenti nemici, basi ostili e tutto quello che c’era da riprodurre in una guerra.
Il comandante era dietro un grosso tavolo di vetro riempito da carte e fotografie, intento a guardare una mappa satellitare. I suoi uomini gli giravano in torno portandogli i rapporti di ogni missione. Non era facile, pensò Nikolaj, essere il comandante di un intero battaglione e gestire tre o quattro missioni alla volta. Per lui era già esasperante guidare sei uomini, ma per fortuna lavorava con uomini indipendenti e capaci. Con loro c’era poco da spiegare, si faceva e basta.
Il comandante era basso e grasso, stempiato e con una faccia da duro, una faccia che aveva visto troppe cose per mostrare un sorriso. Aveva circa sessant’anni ma ne dimostrava novanta, consumato dalle miriadi di battaglie di cui era stato protagonista: una gamba di legno, l’assenza totale di capelli, una grossa cicatrice che si estendeva lungo tutto il collo. Era un monumento, al campo chiunque ricevesse anche una semplice parola di ringraziamento da quell’uomo diventava un eroe di guerra.
Alzò leggermente la testa e guardò Nikolaj da sopra i suoi occhiali da lettura, poi come se niente fosse ritornò a guardare le carte sul tavolo.
“ Tenente Crukòv, lieto di vederla ancora vivo.”
“Signore.”
“ Prima di incominciare ho due cose da dirvi,” il comandante alzò la testa, si tolse gli occhiali e guardo il gruppo. “ Primo: niente stronzate questa volta, o vi faccio rinchiudere a vita! Secondo: A fine missione ognuno di voi ritornerà alla sua squadra che gli era stata assegnata, se speravate che vi lasciassi insieme, vi siete sbagliati di grosso. E’ tutto chiaro?”
“ Signor si signore!” rispose il gruppo in coro.
“ Coglione.” Bisbigliò Cookie.
“Bene! Seguitemi!” Ordinò il comandante.
Le parole del comandante spezzarono qualcosa dentro Nikolaj, si sentiva abbattuto. La sua sopravvivenza dipendeva da quel gruppo. In un anno aveva rischiato dieci volte di più di morire, di più di quello che aveva rischiato in tre anni con la sua squadra.
Era la sua famiglia, i suoi fratelli. Una missione in ricordo dei vecchi tempi e poi tutto tornerà come prima, pensò Nikolaj.
Il comandante li portò in un’altra tenda collegata alla precedente, dentro c’erano venti sedie posizionate in file ordinate e un telo per diapositive in fondo alla sala. Il comandante fece cenno di sedersi al gruppo e si mise in parte allo schermo.
“ Ieri alle 14.03. Abbiamo perso il contatto con l’avamposto 45.”
Nikolaj e Curtis si scambiarono un occhiata.“ E, da allora, non abbiamo più ricevuto nessuna notizia. Non sappiamo cosa sia successo a quei soldati.”
“Quand’è stato l’ultimo contatto signore?” Chiese Nikolaj
“L’ultimo contatto è avvenuto trentasei ore fa. Ci comunicavano di un soldato ferito ad un braccio, è stato morso probabilmente da un animale mentre era in pattuglia nel bosco, e che quando è arrivato non riusciva a parlare.”
“ Come fa un uomo, morso ad un braccio, a non riuscire più a parlare signore?” intervenne Pece.
“ E che cazzo ne so io! Sei tu il medico! Hanno detto che quando è arrivato al campo aveva la febbre altissima, faceva fatica a reggersi in piedi, l’hanno sistemato in infermeria e dall’ora ha continuato a peggiorare.”
“ Un infezione.” Rifletté bisbigliando Pece.
“ Che hai detto soldato?” Il comandate era irritato dal bisbiglio del soldato.
“ Ho detto che molto probabilmente è un infezione, la causa della febbre. La bocca contiene miliardi di batteri differenti e contrarre un infezione da un morso è molto facile, solo che non capisco come mai è stata così rapida e violenta.”
“ Kwaku! Non me ne frega un cazzo della prognosi di quel soldato. Quello che mi frega è capire come mai, trenta soldati, non riescano ad usare una cazzo di radio!”
“ Non può essere stata quell’infezione di cui parlava Pece?” Chiese Cookie
“ Le infezioni delle ferite non sono contagiose…” Lo zittì Ombra
“ Oh cristo! Sembra una seduta di alcolisti, che cazzo state dicendo? Ora, tappatevi la bocca, e aprite quelle cazzo di orecchie: Quel avamposto, con la sua antenna ad alta frequenza, ci mette in contatto con il resto del mondo,senza di quella siamo tagliati fuori. Quello che voglio ora è che andiate in quell’ avamposto, riattivate quella maledetta antenna e cercate quei soldati. Avete capito?”
I soldati fecero cenno con la testa.
“ Sergente Curtis, questo fascicolo è per te”Il comandante consegnò una cartelletta a David.
“ Cosa sarebbe signore?”
“ Sono i dati tecnici della antenna. Dato che sei l’ingegnere della squadra, il compito di ripristinare il sistema e riattivarlo spetta a te. Gli altri ti forniranno copertura e assistenza. Tutto chiaro soldati? ”
“ Si signore!” risposero in coro.
“ Ok, allora, una camionetta vi porterà più vicino possibile, quando farà buio, saranno le vostre gambe a muoversi. La strada verrà indicata sui vostri GPS ma, fate attenzione, abbiamo rilevato spostamenti nemici da quelle parti e ricordatevi che non avete nessun tipo di copertura aerea, l’unica copertura che avete è la notte. Avete un’ora per prepararvi e presentarvi all’uscita del campo. Buona fortuna signori. Potete andare.”
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